Democrazia ed economia: intervento al Rotary club Trani del Professor Domenico Fracchiolla 12 novembre 2019
Presentato al Club dalla nostra amica Carla D'Urso, Assistente del Governatore, egli ha iniziato richiamando l’attenzione a una panoramica internazionale, nella quale si registrano turbolenze ovunque e crisi dovute a diseguaglianze crescenti, essendo strettissimo il collegamento fra il consolidamento delle democrazie e l'andamento dei mercati internazionali. Le variabili di crisi possono essere individuate in un decadimento dei valori della democrazia matura, che si esprime su quattro aspetti: la crisi della responsabilità (verticale, tra governanti e governati e orizzontale, tra organi istituzionali), il decadimento dello stato di diritto, i bassi livelli di responsività (la capacità dei governanti di rispondere alle domande dei governati) e la sempre crescente difficoltà delle politiche pubbliche degli stati democratici di tradurre la tensione verso i principi di uguaglianza e di libertà. Nel momento in cui il rispetto delle leggi di mercato viene meno, avviene uno scollamento tra la libertà e l'eguaglianza delle popolazioni, intesa come eguaglianza di opportunità e non di risultato. Ricordiamo che il pluralismo economico comportava la “middle-class democracy”: un modello rispettoso dell’economia di mercato, ma basato, almeno fino alle crisi degli anni ‘70 su un assunto sbagliato, l’inesauribilità delle risorse naturali, considerate infinite e al servizio dello sviluppo umano. La comprensione di questo equivoco a seguito delle crisi petrolifere del 1973 e del 1978, ha consentito l’affermarsi del tema dello sviluppo sostenibile e della lotta all'inquinamento. Tornando indietro nel tempo, per uscire dalla famosa crisi del ‘29, le democrazie più fragili e di recente formazione, si lasciarono tentare dalle lusinghe dei governi forti e accettarono regimi autoritari per condizioni di necessità. D’altra parte, la grande democrazia statunitense guidata dal Presidente Roosevelt, realizzò, tra le altre linee politiche di governo, il New Deal, il più grande piano di sviluppo e di investimenti pubblici adottato da un regime democratico. Negli anni ’70, la crisi economica e la recessione comporta la crisi dello Stato Welfarista, declinazione contemporanea dello stato Westfaliano che ne evidenzia gli ampi spazi di manovra della sfera pubblica, ed un attacco allo stesso liberalismo classico
La reazione Neoconservatrice degli anni ’80 esemplificata dai governi di Regan e della Thatcher rilanciava il liberismo economico come soluzione e non come causa dei problemi economici, secondo una declinazione più spregiudicata e libera dai vincoli dei sindacati, ma anche da quelle regole che ne avevano garantito il successo ed il temperamento degli aspetti più aspri. Si avviava una lunga stagione di Deregulation e di integrazione dei mercati internazionali, condotta da una crescente globalizzazione.
Dopo l’illusione dei primi anni ’90 della vittoria delle tesi di Frances Fukuyama della Fine della Storia, di un futuro della Comunità Internazionale caratterizzata dall’affermazione globale della Democrazia e dell’economia di mercato, ci si rese conto che la storia non era affatto terminata e che le ombre del Clash of Civilization (lo contro di civiltà) di Samuel Huntington minacciavano il futuro della Comunità Internazionale. In questa realtà fortemente integrata dei mercati finanziari internazionali, il mercato globalizzato è controllato con difficoltà dai governi nazionali e la governance internazionale è sempre più difficile. D’altra parte, le grandi multinazionali, violando le leggi dell'economia di mercato, hanno volumi d’affari simili a quelli di stati di media dimensione ed agiscono sempre più spesso in regime di monopolio o oligopolio, in assenza di regole e di una Comunità internazionale strutturalmente anarchica. Si passa rapidamente dalla libertà del mercato alla dittatura del mercato e i principi e i valori democratici sono spesso sacrificati in favore della libertà del mercato e della competizione internazionale.
Negli anni 2007-2009, si è assistito, negli USA, allo scoppio di una bolla speculativa, resa possibile per il combinato disposto delle politiche di deregolamentaione che sono continuate e si sono approfondite e della continuazione della politica di Clinton di una casa per tutti. L'eccessivo uso di strumenti finanziari creati per dare denaro a chi non poteva fornire nessuna garanzia ha portato allo scoppio della bolla che è rapidamente passata dal settore finanziario a quello economico e poi all'ambito sociale e infine alla politica. Dagli Stati Uniti la crisi si è rapidamente propagata in Europa, prendendo le forme di una crisi del debito sovrano, più che del debito privato ed è diventata globale.
Ecco allora, l’ascesa dei populismi ha trovato terreno fertile l’affermazione della proposta politica di Trump ha abilmente intercettato le frustrazioni della ex “middle class” ormai impoverita. Purtroppo, le politiche economiche populiste, per ragioni strutturali al populismo stesso, non sono sostenibili sul piano industriale e la globalizzazione ha accentuato l'anarchia dei mercati. Si assiste allora a fenomeni come l’avanzata economica e politica della Cina che gioisce dell'economia di mercato senza essersi aperta alla democrazia ed il ritorno della Russia di Putin, un regime soggetto ad un regime ibrido nel migliore dei casi, mentre l'Europa è in crisi perché in realtà le democrazie stanno retrocedendo.
Nuove frontiere attendono l'impegno globale: abbiamo ormai constatato che gli oligopoli e le finte democrazie tradiscono l'economia di mercato, pertanto, per il ritorno della libertà e dello sviluppo sostenibile, devono essere ripristinate delle regole precise, con l’auspicio che specificatamente la nostra Italia possa così ritrovare un suo ruolo di potenza di medio livello nella Comunità Internazionale e di protagonista del processo di integrazione europea.
Achille Cusani
13 novembre 21019